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Estensione dei permessi retribuiti di cui alla legge n. 104/1992 al convivente del portatore di handicap in situazione di gravità – Sentenza Corte Costituzionale n. 213/2016.

Circolare n° 79/2016 » 30.09.2016

Con sentenza depositata lo scorso 23 settembre u.s., la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 33, terzo comma, della legge n. 104/1992 “nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con handicap in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine entro il secondo grado”.

La questione di costituzionalità è stata sollevata dal Tribunale di Livorno il quale, nel presupposto che il mutato quadro normativo, giurisprudenziale e sociale abbia già da tempo attribuito sempre maggiore rilevanza alla famiglia “di fatto”, ha sostenuto che il concetto di famiglia tradizionalmente inteso, come enucleato dall’articolo 29 della Costituzione (famiglia intesa come “società naturale fondata sul matrimonio”), costituisse una limitazione delle finalità di cui alla legge n. 104/1992.

Una nozione di famiglia, pertanto, più aderente al concetto di “formazione sociale” riconosciuta e tutelata dall’articolo 2 della Costituzione; conseguentemente, sempre secondo la tesi del Tribunale “a quo”, nell’escludere dal novero dei possibili beneficiari il convivente “more uxorio”, l’art. 33, comma 3, della legge n. 104/92 violerebbe l’articolo 2 della Costituzione.

Già in passato, peraltro, la stessa Corte si è espressamente pronunciata circa la riferibilità delle “convivenze di fatto, purchè caratterizzate da un grado accertato di stabilità” alle “formazioni sociali” meritevoli della tutela di cui all’articolo 2 della Costituzione (sentenza n. 237/1986 e, più di recente, anche n. 138/2010 con riferimento alla stabile convivenza tra due persone, anche dello stesso sesso).

Tale impostazione restrittiva, sempre secondo il Tribunale, contrasterebbe inoltre anche con il principio di eguaglianza di cui all’articolo 3 della Costituzione in quanto un soggetto afflitto da handicap grave sarebbe meglio assistito se inserito in una famiglia fondata sul matrimonio rispetto al soggetto inserito stabilmente in una famiglia “di fatto”.

Nel procedimento di fronte alla Corte Costituzionale si sono costituiti sia l’INPS che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, ritenendo “non assimilabili la famiglia di fatto e quella fondata sul matrimonio” e chiedendo quindi che fosse dichiarata “non fondata” la questione di legittimità costituzionale.

Nel primo caso, l’INPS ha motivato la sua tesi principalmente sulla circostanza che è necessario un rapporto giuridico certo, quale quello della famiglia fondata sul matrimonio, per poter beneficiare dell’erogazione dei fondi pubblici che l’Istituto riversa ai datori di lavoro a titolo di rimborso per la prestazione lavorativa non ricevuta.

La Presidenza del Consiglio ha invece fondato, in sintesi, la sua tesi sui differenti obblighi giuridici sussistenti tra il coniuge nell’ambito di una famiglia fondata sul matrimonio e i più generali doveri di solidarietà sociale.

La Corte Costituzionale ha tuttavia dichiarato, come anticipato in premessa, l’illegittimità costituzionale della norma in questione, considerando, in particolare, “irragionevole che nell’elencazione dei soggetti legittimati a fruire del permesso mensile retribuito … non sia incluso il convivente della persona con handicap in situazione di gravità”; inoltre, ha riconosciuto che l’articolo 3 della Costituzione non sia violato per quanto riguarda le obiettivamente differenti posizioni del coniuge e del convivente “more uxorio”, quanto piuttosto per la “contraddittorietà logica dell’esclusione del convivente dalla previsione di una norma che intende tutelare il diritto alla salute psico-fisica del disabile”, anche nell’ambito delle “aggregazioni” tutelate dall’articolo 2 della Costituzione.

Risulterebbe pertanto irragionevole, secondo la Corte, che il diritto del portatore di handicap di ricevere assistenza sarebbe compresso in funzione di un mero dato normativo e non per l’ ”obiettiva carenza di soggetti portatori di un rapporto qualificato sul piano affettivo”.

Conseguentemente la Corte ha deciso per l’accoglimento del ricorso e per la dichiarazione di illegittimità della norma oggetto di contenzioso.

Per quanti interessati, il testo integrale della sentenza può essere richiesto all’indirizzo di posta elettronica d.miccoli@fise.org.

» Firma Il Responsabile Area Lavoro e Sicurezza Giancarlo Cipullo  |   Autore MI/mf
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